Efficacia di Vemurafenib nel carcinoma papillare della tiroide con mutazione di BRAF


Vemurafenib ( Zelboraf ), il farmaco che trova inidcazione nel trattamento del melanoma, potrebbe rappresentare una nuova opzione terapeutica per un sottogruppo di pazienti con carcinoma papillare della tiroide metastatico o non-operabile, resistente alla terapia con Iodio radioattivo.
In uno studio multicentrico di fase II, condotto su pazienti con carcinoma papillare della tiroide con il gene BRAFV600E mutato, sia naïve agli inibitori della tirosin-chinasi ( TKI ) sia già trattati con TKI, Vemurafenib ha dimostrato una promettente attività antitumorale.
La risposta, inoltre, è stata migliore nei pazienti naive che non in quelli già esposti agli inibitori della tirosin-chinasi.

Vemurafenib è un inibitore selettivo della chinasi avente come bersaglio la proteina BRAF mutata, e diretto in particolare contro tumori con la mutazione V600E del gene BRAF.
Circa la metà dei pazienti con questo tipo di tumore è portatrice di mutazioni attivanti BRAFV600E, la cui presenza è un indicatore di prognosi sfavorevole.

Vemurafenib è stato approvato sia dall’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti, FDA ( agosto 2011 ), sia dall’Agenzia europea, EMA ( agosto 2012 ), per il trattamento dei pazienti con melanoma metastatico con mutazione BRAF V600E.

Vemurafenib è stato il primo farmaco approvato per il trattamento dei tumori con BRAF mutato.
E' stato ipotizzato che Vemurafenib potesse essere di beneficio anche per i pazienti con tumore papillare alla tiroide portatori della mutazione nel gene BRAF.

In fase I Vemurafenib ha mostrato una risposta o una stabilizzazione della malattia in tre pazienti con carcinoma papillare della tiroide con mutazione BRAF V600E.
Il risultato positivo ha indotto a passare alla fase II.

L'endpoint primario dello studio era il miglior tasso di risposta complessiva ( bORR ) in base ai criteri RECIST nel braccio dei pazienti naïve agli inbitori della tirosin-chinasi.
Gli endpoint secondari erano bORR nel braccio dei pazienti pretrattati e la sopravvivenza libera da progressione ( PFS ) e la sopravvivenza globale ( OS ).
Lo studio ha riguardato 51 pazienti, reclutati in 10 Centri nel periodo 2011-2013.
I pazienti soffrivano di un cancro papillare della tiroide in progressione, dimostratosi refrattario allo Iodio radioattivo ed erano positivi alla mutazione BRAF V600E.
Avevano un ECOG performance status pari a 0 o 1, e il 53% aveva 65 anni o più.
Inoltre, 26 pazienti non era mai stato trattato con un inibitore della tirosin-chinasi, mentre la parte restante era già stata trattata con questi farmaci.
Tutti i partecipanti avevano subito in precedenza un intervento chirurgico, ed erano stati già trattati con Iodio radiottivo.
Tre pazienti ( 12% ) del gruppo dei naive e sette ( 28% ) del gruppo dei pretrattati con inibitori TK erano già stati sottoposti anche a una chemioterapia, e 21 ( 84% ) del secondo gruppo erano già stati trattati con Sorafenib.

Entrambi i gruppi sono stati trattati con Vemurafenib 960 mg per via orale due volte al giorno e sono stati controllati per valutare la risposta tumorale ogni 8 settimane.

L'analisi dell'endpoint primario è stata effettuata, secondo protocollo, 6 mesi dopo l’arruolamento dell’ultimo paziente.
L' analisi ha dimostrato un bORR del 35% tra i pazienti naïve agli inibitori TK e del 26% in quelli già trattati con questi farmaci; tutte risposte parziali.

La percentuale di beneficio clinico, somma delle risposte complete, di quelle parziali e delle stabilizzazioni della malattia a 6 mesi, è stata rispettivamente del 58% e del 36%.

La sopravvivenza mediana libera da progressione al momento del cutoff dei dati per l'analisi è risultata di 15.6 mesi ( IC 95%, 11.2 - NR [ non-raggiunta ] ) nel primo gruppo e 6.8 mesi ( IC 95%, 5-38 - NR ) nel secondo.
Rispettivamente, 7 e 11 pazienti hanno interrotto il trattamento a causa della progressione della malattia.

Il profilo di tossicità complessiva è risultato sovrapponibile a quello osservato trattando con Vemurafenib i pazienti affetti da melanoma, tranne che per una maggiore incidenza di calo ponderale, disgeusia, anemia, aumento della creatinina e anomalie dei test di funzionalità epatica.
Gli eventi avversi più comuni sono stati eruzioni cutanee, affaticamento, perdita di peso e aumento della bilirubina.

Dallo studio è emerso che Vemurafenib presenta una attività antitumorale nei pazienti con un carcinoma papillare della tiroide con mutazione BRAFV600E, sia naive al trattamento con inibitori della tirosin-chinasi sia già pretrattati con inibitori TK, refrattario allo Iodio radioattivo e in progressione.
Vemurafenib può rappresentare un nuovo trattamento per il tumore papillare della tiroide. ( Xagena_2013 )

Fonte: European Cancer Congress, 2013

Xagena_Medicina_2013